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Andrea Albanese
Consumer Playmaker: Nella delicata fase d’arrivo presso l’audience di riferimento, quali sono le condizioni che regolano la buona ricezione del messaggio?

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Andrea Albanese
Social Media Marketing & Digital Communication Advisor. Project Manager. Community Manager. Teacher.

L’utente come percepisce la diversa tipologia di messaggi nell’affollamento quotidiano degli avvisi pubblicitari? Quale tipo di engagement risulterà maggiormente gradito?

Oggi l’utente si trova sovraesposto ai messaggi pubblicitari, non solo sui social media ma in senso lato sul web (quanto sono fastidiosi quei pop-up promozionali che si spalancano nel browser appena si atterra su una webpage?), e non considero l’adv ‘vecchio stile’ sui canali tradizionali. Partiamo dal presupposto che ormai ogni nostro click sul digital contribuisce a profilarci come consumatori: dai ‘like’ su contenuti pubblici alle pagine Facebook che seguiamo, ai profili Instagram alle pagine che visitiamo. Questo permette, a quanti sanno profilare correttamente gli utenti (e sono pochi) di andare quasi ‘a colpo sicuro’ e personalizzare al massimo la distribuzione pubblicitaria. Ciononostante è sempre più evidente come gli utenti percepiscano l’adv come ‘troppo intrusivo’, soprattutto sui canali che fino a poco tempo fa ne erano privi (pensiamo a Instagram: ormai ogni 3 post salta fuori un contenuto sponsorizzato!). È inoltre emerso da più ricerche che i consumatori si fidano sempre meno dell’adv tradizionale e che il passaparola o gli ‘endorsement’ da parte di influencer (più o meno famosi, e qui bisognerebbe aprire un capitolo a parte) siano veicoli pubblicitari migliori e più efficaci. Per questo il budget di ‘influencer marketing’ sta aumentando, soprattutto per brand fashion, food e travel. Gli utenti si emozionano maggiormente se il contenuto ‘branded’ è veicolato da una persona fisica, riconoscibile e identificabile, nella cui esperienza ci si può riconoscere. Questo è vero soprattutto nei Millennials e nelle generazioni più giovani (Gen-Y e Gen-Z). Inoltre, il contenuto pubblicitario (se si vuole restare entro gli ambiti del display advertising e dei post social sponsorizzati) deve cambiare molto spesso, perché la navigazione da smartphone sempre più superficiale spinge ad essere più selettivi e saltare ‘inconsciamente’ contenuti già visti. Centrale in questo nuovo mondo sono i video e le gif animate.

Spesso non ci accorgiamo di quanto gli algoritmi stiano pilotando le nostre scelte attraverso l'utilizzo dei Big Data. Quale sarà Il futuro della comunicazione? Sarà esclusivamente Data Driven o c’è la possibilità di una svolta creativa Human Driven?

I dati, le informazioni, sono una miniera d’oro oggigiorno, ma non è sufficiente possederli, occorre anche saperli leggere, decifrare, analizzare e trasformare in actions efficaci ed efficienti, e sono ancora convinto che in questo serva più di un algoritmo. La sensibilità umana a sfumature del linguaggio, a espressioni gergali, a inflessioni dialettali, non si può sostituire. Per quanto sofisticati, i tools di automation hanno necessità di un controllo e una guida umana. Quanto agli algoritmi che pilotano le nostre vite e le nostre scelte, la mia parte idealista si augura di no: siamo tutti (fortunatamente) dotati di libero arbitrio. Vero è che Facebook o Google potrebbero influire sugli equilibri economici mondiali: basterebbe cambiare l’algoritmo per dare più risalto e visibilità a prodotti o aziende americani, e gli utenti non se ne accorgerebbero minimamente. La comunicazione del futuro è già nel presente: chatbot e assistenti virtuali stanno aumentando e i sistemi di Intelligenza Artificiale in grado di imparare sono sempre più avanzati e diffusi e, soprattutto, economicamente accessibili. Il che non è totalmente un male, perché possono aumentare l’efficienza del customer care e dell’assistenza da remoto sui social. Tuttavia, mi piace pensare che quella parte di comunicazione emozionale così umana e così legata al vissuto delle persone non si possa facilmente rimpiazzare con algoritmi e chatbot.

All’interno di un mercato sempre più esigente e competitivo, l’elemento cardine per le aziende resta la reputazione, attraverso la quale sono quotidianamente sotto esame da parte dei consumatori. La sostenibilità può aggiungere personalità al brand, suscitando un interesse più marcato nelle nuove generazioni?

Bella domanda. Le emozioni sono una grande ricchezza nella comunicazione e nel marketing, ma ricordiamoci che non esistono emozioni universali. In questo campo potremmo sì inserire una collaborazione fra big data-algoritmi e creatività umana, andando a sviluppare campagne emozionali che parlano a specifici gruppi di consumatori. I click, se ben analizzati, sono anche veicolo di conoscenza valoriale e questo ci permetterebbe di sviluppare messaggi promozionali in linea con i set di valori degli utenti. Immaginiamo un brand ‘generico’ come la Coca-Cola che sviluppa una serie di campagne social e digital per mamme, single, animalisti, sportivi ecc: grazie alla profilazione degli utenti può accertarsi che i contenuti vengano visti solo dalle persone che possono emozionarsi di fronte a quei messaggi. Quanto alla scelta etica di un prodotto su un altro… credo che i principi del marketing tradizionale non siano morti con il web: se il prodotto rappresenta una soluzione ad un problema, risolve un bisogno e ha un prezzo in linea con le aspettative, allora il consumatore lo sceglie. A questo possiamo aggiungere elementi di riconoscibilità del brand, di ‘posizionamento’ sociale ecc, ma siamo ancora tutti molto abitudinari nei nostri consumi e a meno di ‘offerte speciali’ difficilmente ci discostiamo da marche cui siamo abituati.

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1 agosto 2022
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