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Edoardo Santamato
Consumer Playmaker: Nella delicata fase d’arrivo presso l’audience di riferimento, quali sono le condizioni che regolano la buona ricezione del messaggio?

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Edoardo Santamato
Direttore creativo di Invasione Creativa www.invasionecreativa.it

L’utente come percepisce la diversa tipologia di messaggi nell’affollamento quotidiano degli avvisi pubblicitari? Quale tipo di engagement risulterà maggiormente gradito?

Come capita sempre, solo il messaggio che tocca gli insight giusti riuscirà ad arrivare a bersaglio. Il “mezzo”, rimane e rimarrà sempre solo un mezzo, uno spazio, un supporto naturale alla creatività. Piattaforme, canali, persone, testimonial, influencer, app, sono la moltiplicazione reale delle possibilità di “mezzo” che un pubblicitario ha a disposizione per interagire con il proprio target di riferimento, ma nulla deve prescindere dall’insight, dal fulcro della comunicazione, dall’idea di base. È sempre lì che si gioca la vera partita.

Innegabile come alcuni mezzi stiano perdendo terreno rispetto ad altri (la stampa su tutti), ma per il semplice motivo che l’utenza, ormai, si sta spostando verso altri habitat. La richiesta delle marche, quindi, non potrà prescindere dalla corretta intenzione di intercettare i propri consumatori nei nuovi luoghi di aggregazione e scambio, ambienti che seguono regole diverse rispetto a 30 anni fa, ma che devono essere affrontati nello stesso modo: cercando l’engagement giusto. Non ci potrà, quindi, essere un solo paradigma di “engagement”, non potrà esserci lo “strumento perfetto”: ogni situazione deve essere studiata separatamente e con gli strumenti idonei. Ciò che funziona sui social (e anche in questo caso bisognerebbe studiare social per social) non funziona in ambiente cittadino e viceversa. Ogni nostra azione di comunicazione deve essere pensata per l’ambiente in cui si sviluppa e non sempre la “crossmedialità” è sinonimo di declinazione pedissequa.

Spesso non ci accorgiamo di quanto gli algoritmi stiano pilotando le nostre scelte attraverso l'utilizzo dei Big Data. Quale sarà Il futuro della comunicazione? Sarà esclusivamente Data Driven o c’è la possibilità di una svolta creativa Human Driven?

Inutile nascondere il fatto che i dati saranno (o forse sono già) una risorsa primaria e non solo nel campo della comunicazione. Ma, a pensarci bene, è una cosa che è così da sempre. La comunicazione da sempre si avvale dei dati per capire dove muoversi e come farlo al meglio. Lo faremo, presumibilmente, con sempre maggiore precisione. La speranza è che questa crescente precisione, non soffochi le strade creative che spesso prendono spunto dai dati per poi muoversi in direzioni non lineari, non prestabilite.

Ma anche oggi, il destreggiarsi tra il formalismo della ricerca spinta e il tentativo di stupire in modo laterale, è una skill che un “comunicatore” deve sviluppare. Sempre più spesso viene richiesta una sovrapposizione quasi maniacale tra dato e creatività, per avere la certezza di colpire al meglio il target. Ma è una certezza effimera: nessun dato, nessuna ricerca, nessuna elaborazione statistica potrà cogliere tutte le sfumature di una buona creatività che ha osservato e capito l’utente. La partita si giocherà sulla “comprensione” e non “sullo studio”. I dati rimangono sempre e solo dati, finché qualcuno non li interpreta al meglio. Il futuro vedrà sempre protagonista un approccio umano, proprio perché sarà quell’umano (schiacciato da automatismi) a richiederlo a gran voce.

All’interno di un mercato sempre più esigente e competitivo, l’elemento cardine per le aziende resta la reputazione, attraverso la quale sono quotidianamente sotto esame da parte dei consumatori. La sostenibilità può aggiungere personalità al brand, suscitando un interesse più marcato nelle nuove generazioni?

La risposta a questa domanda è un secco sì. Innegabile che la (giustissima) attenzione verso l’etica di un prodotto (e quindi di un brand) stia diventando un altro terreno di concorrenza. Ironico pensare come il “creare cose davvero buone”, come “il cercare una filiera più possibile rispettosa dell’ambiente”, o come “la salvaguardia del nostro pianeta è un cosa importante” spesso sembrino oggi semplici derivazioni di una strategia di marketing e non pilastri di una strategia d’azienda. Sembrino più uno “slogan”, che una vera “anima” aziendale. Le realtà che dimostreranno con i fatti, e con con degli spot tattici, con gli investimenti e non con le raccolte fondi annuali, con l’impegno e non con forzato il “just in time”, che alla base delle loro scelte “ambientali” ci sia un vero pensiero “green” saranno premiate con la scelta dell’utente. Non si può inseguire “l’onda verde”, la si deve vivere. Le aziende che capiranno la differenza tra “apparire green” ed “essere green” vinceranno grandi sfide: l’utente sta capendo questa dicotomia e sceglierà realtà che, come lui, avranno abbracciato questo modo di essere.

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Ultimo aggiornamento:
1 agosto 2022
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